Â
ITALIANI ALL'ESTERO
Arturo Frediani
a
cura di Vincenzo P. Bagnato
   Ho studiato e mi sono
laureato a Barcellona, ma già da studente avevo iniziato a lavorare per alcuni
studi di architettura di Barcellona, che sono stati per me una scuola molto più
stimolante della stessa università . Ho lavorato con Antoni Bonet, Alfred
Arribas, Joan Pascual, ma soprattutto con Elias Torres Tur e Josè Antonio
Martinez Lapeña, e con Pep Llinas.
   Lavorare con Torres
e Martinez è stato tanto stimolante quanto traumatico. Giunto in studio trovavo
sul mio tavolo schizzi, bozzetti, disegni impossibili da interpretare, tanto a
livello formale quanto funzionale: macchine strane, forme impossibili da
risolvere direttamente con le regole della geometria descrittiva; iniziavo così
a maneggiare plastici, modelli, in un modo totalmente diverso da come facevo
all'università .
   Llinas è stato una guida, un esempio
da seguire. Da lui ho ereditato tante cose, ma soprattutto un certo scetticismo
nei confronti della serietà e del rigore in architettura. Uno scetticismo che
Llinas estendeva anche a se stesso, fino a farlo diventare addirittura
autoironia quando, soffermandosi a valutare il proprio modus operandi, vi
scorgeva segnali di eccessivo rigore: iniziava a prendere le distanze
dall'oggetto del suo lavoro per liberarsi dalla seriosità di alcuni temi che
attanagliavano il progetto e lo portava ad una dimensione di giocosa banalità .
   Riconoscere l'inconsistenza di certi argomenti,
accettare la banalità come elemento d'architettura, da utilizzare però in modo
sempre maturo e consapevole, è stato per me un grande insegnamento.