Il Museo d’arte contemporanea Minsheng, inaugurato nel 2015, è il terzo museo d’arte dopo quelli di Shangai di proprietà della Banca privata omonima che, negli ultimi anni, ha deciso di investire più di 320 milioni di dollari nell’arte contemporanea, sia cinese che internazionale, un mercato di grande espansione in Cina. L’edificio è stato ideato dallo studio cinese Pei-Zhu che ha da tempo affrontato in modo innovativo la progettazione di spazi museali; basta pensare al museo della Pace a Pechino (2009), a quello del Design a Shenzhen (2012) e al museo Dali nello Yunnan in corso di realizzazione. Il nuovo museo è, oggi, il più grande spazio pubblico per l’arte contemporanea nella repubblica cinese e si trova all’interno del famoso distretto 798 conosciuto anche come Dashanzi Art District o Art Zone, un’ex area industriale costruita negli anni ‘50 non lontana dal centro di Pechino che dieci anni fa si trasformò in una vera e propria cittadella dell’arte. Questo sito è stato completamente reinventato e trasformato a partire dalla fine degli anni ’90, quando gruppi di artisti vi trasferirono qui i loro atelier e laboratori creativi e scelsero le fabbriche abbandonate di proprietà statale, attratti dallo stile Bauhaus, come sede per alcune mostre temporanee non ufficiali che ebbero un enorme successo. I committenti hanno localizzato il nuovo polo culturale in un luogo ricco di memorie, dove si mescola archeologia industriale e creatività, segni del passato e opere del presente, slogan maoisti della Rivoluzione Culturale e sculture stravaganti dei movimenti artistici d’avanguardia; hanno deciso di riutilizzare gli spazi della fabbrica per la produzione di televisori Panasonic costruita negli anni ‘80 su una superficie di 25.000 mq. All’interno di questo contesto, lo studio Pei- Zhu ha realizzato un manufatto semplice e vero, come l’ex edificio industriale, che si differenzia dagli attuali musei d’arte anonimi e altisonanti. La vecchia fabbrica, caratterizzata dal ritmo monotono della struttura puntiforme di calcestruzzo armato solo in parte interrotto da nuove superfici di alluminio ma ancora ben riconoscibile, viene trasformata in un edificio complesso mediante operazioni di addizione e sottrazione di volumi.

Sul fronte principale viene aggiunto un volume verticale baricentrico su cui gravitano tutti gli spazi espositivi, mentre, nel corpo retrostante, viene eliminata parte della cubatura dove si svolgeva la catena di montaggio e creata una grande corte interna. I lavori di recupero sono stati organizzati in tre fasi. Nella prima si è provveduto a effettuare la demolizione della struttura portante del corpo sud in corrispondenza del nuovo ingresso, oggi segnato da una torre alta più di 30 metri, e di parte delle travature reticolari della stecca che si affaccia a nord. Inoltre, sono stati parzialmente abbattuti i tamponamenti tra i pilastri e consolidate tutte le fondazioni per soddisfare la nuova normativa antisismica. Nella seconda fase è stata smontata la copertura rimanente del corpo a nord, pulite e riverniciate le superfici arrugginite delle travi reticolari che sono state, poi, ricollocate sui pilastri esistenti sopraelevati di 6 m. Dopo aver gettato le fondazioni e la struttura portante del primo piano della torre, è stata imbullonata la nuova struttura di acciaio in elevazione. Infine, nella terza fase, è stata eretta la copertura della maggiore sala espositiva denominata “Big Box”, un tempo la grande sala che ospitava la catena di montaggio. Il fulcro dell’intervento è il nuovo volume dell’atrio di ingresso realizzato con tecnologie leggere. Esso funge da cerniera da cui si diramano in modo organico tutti gli spazi museali che sono stati trasformati, adattati e diversificati. Formati da poligoni complessi, alludono al carattere astratto e multidimensionale dell’arte contemporanea. Oltre al ruolo distributivo, il grande spazio verticale svolge la funzione di pozzo di luce, schermato da lamelle orizzontali, che proietta un mutevole gioco di ombre sulle pareti inclinate e sulle due scale trapezoidali concepite come gradinate dove è possibile incontrarsi e socializzare. Dai parapetti trasparenti dei ballatoi sui piani ammezzati ci si può affacciare sullo spazio vuoto a tutta altezza e osservare, come in un caleidoscopio, le geometrie diagonali delle vetrate e i piani inclinati delle solette e delle coperture.

Al piano terra si trovano tutti i grandi spazi espositivi, l’auditorium, gli atelier per gli artisti, la caffetteria e il ristorante, mentre al piano superiore si snodano lunghe gallerie, gli uffici e la biblioteca. Alle superfici bianche delle nuove pareti si contrappongono i segni della vecchia struttura e i materiali grezzi del ferro e del calcestruzzo lasciati a vista, reminiscenze di un mondo industriale che non esiste più. In corrispondenza dell’ingresso ampie vetrate e cortine di alluminio a forma trapezoidale si inseriscono nel vecchio edificio, interrompono la monotonia della stecca di calcestruzzo e, brillando sotto il sole, diffondono la luce di una architettura ben riconoscibile nell’ambiente circostante. Nel museo di Pechino l’opera di conservazione coesiste con quella di ideazione di una nuova architettura e queste due dimensioni si confrontano in un processo di continui rimandi, come fossero frammenti il cui unico scopo è quello di favorire l’interazione tra l’opera d’arte, i fruitori e gli artisti. Come afferma l’architetto Pei Zhu, “l’arte contemporanea ha bisogno di luoghi in cui esprimersi che non siano quelli di un museo tradizionale, spazi con diverse connotazioni e flessibili, capaci di adattarsi alle molteplici forme di rappresentazione e performance”. Le sale espositive, connotate dagli elementi della vecchia realtà industriale, si differenziano per forma e dimensione, per tipo di illuminazione, naturale o artificiale, zenitale o laterale. Un’opera d’arte totale dove si uniscono pittura e architettura, musica e scultura non solo nelle sale delimitate da pareti, ma anche all’aperto, nel giardino antistante all’ingresso, nella corte o sul tetto, dove si trova una grande scalinata a cielo aperto per rappresentazioni.

NUOVE FACCIATE NELLA STRUTTURA ESISTENTE
Il nuovo museo nasce dall’intervento di recupero e ricostruzione di una vecchia fabbrica di televisori Panasonic. Le opere di demolizione e i nuovi volumi aggiunti hanno consentito di realizzare un insieme di spazi museali efficienti dal punto di vista funzionale e tecnologico mantenendo ben visibile la vecchia struttura. L’edificio esistente si presentava come una grande piastra lunga 275 e larga 80 m, composta da 2 corpi adiacenti, longitudinali, di cui uno a sud, leggermente più alto e largo 45 m, e uno più basso lungo il lato nord. La maglia strutturale a travi e pilastri di calcestruzzo armato con interasse di 6 metri sorreggeva le travature reticolari di acciaio che coprivano i grandi spazi delle catene di montaggio e i diversi reparti dell’impianto industriale caratterizzando tutti i fronti dell’edificio. Il progetto mantiene la struttura portante a vista e inserisce pannelli ciechi o serramenti trasparenti, a filo facciata o arretrati, creando una variazione dei fronti rigorosamente modulata dal reticolo strutturale. L’involucro è stato riqualificato anche dal punto di vista energetico. Nelle parti cieche è stato incrementato l’isolamento termico fissando uno strato isolante sul muro esistente e utilizzando un rivestimento di alluminio addizionato con manganese e cromo per aumentarne la resistenza meccanica, migliorarne la resistenza alla corrosione e la saldabilità. Nei tamponamenti trasparenti sono stati utilizzati nuovi serramenti performanti con vetrocamera bassoemissivi.

Scheda progetto
Committente: Pei-Zhu Studio - Pei Zhu
Structural, mechanical, electrical design: Arup Construction
Periodo: 2014 - 2015
Costo: 29.28 million euro
Photos: Fang Zhenning, Zhu Qingsheng, Misheng Art Museum

Arketipo 99, Recupero, gennaio/febbraio 2016