L’apertura della prima parte degli ambienti della nuova Fondazione Prada in Largo Isarco a Milano aveva costituito un evento il cui impatto ha travalicato non solo i confini cittadini e nazionali, ma anche il ristretto ambito dell’architettura e dell’arte contemporanea. Si tratta di un’opera caratterizzata da una tale intelligenza e complessità, costruita egregiamente, così ricca di stimoli e innovazioni da influenzare non solo chi ha già avuto modo di visitarla ma anche le numerose persone che, a livello internazionale, già la conoscono anche solo attraverso i materiali circolati sino a ora. Il complesso, nato dalla sinergia creativa e intellettuale tra lo studio OMA di Rem Koolhaas e Miuccia Prada, è il frutto di un lungo processo ideativo e realizzativo che ha avuto inizio nel 2008 e ha portato a un campus che non è solo un progetto di conservazione di un edificio e neanche una nuova architettura, bensì un’interazione continua tra queste due condizioni: dieci edifici, recuperati e non, sono collegati da spazi aperti che svolgono un ruolo non secondario nel funzionamento complessivo.

“Vecchio/nuovo, orizzontale/verticale, largo/ stretto, bianco/nero, aperto/chiuso - tutti questi contrasti stabiliscono la gamma di opposizioni che definiscono la nuova Fondazione”, molteplici variabili spaziali che generano una complessità stimolante per tutte le discipline e le persone. Il progetto è localizzato a sud, a ridosso dello scalo ferroviario di Porta Romana, in un’area attualmente poco attraente e destinata a cambiare con tempistiche ancora non prevedibili. La Fondazione sorge, e riusa buona parte, del complesso industriale della Società Italiana Spiriti, ex-distilleria nata nel 1910 e che, alla chiusura delle attività, includeva capannoni produttivi, laboratori, silos e depositi. Il gruppo Prada acquisì, circa quindici anni orsono, la fabbrica e altre aree adiacenti, poi parzialmente rivendute dopo la crisi conseguente ai fatti dell’11 settembre 2001 in attesa di grandi operazioni immobiliari oggi in via di ultima definizione. Per diversi anni gli edifici esistenti vennero utilizzati per sfilate, negozi temporanei e mostre a rotazione della collezione d’arte contemporanea in fortissima crescita della giovane Fondazione, visto che gli spazi ex-industriali di cui disponevano in via Bergamo diventarono subito insufficienti. Nel 2008, Prada diede a OMA un brief molto aperto, alla ricerca di un progetto innovativo che non si limitasse a esporre la sola collezione permanente, ma che consentisse una fruizione migliore possibile dell’arte nel suo complesso, in un ambiente concettualmente nuovo, stimolante e piacevole, in grado di avvicinare all’arte anche persone solitamente lontane da quel mondo.

I primi risultati dell’analisi storica sul complesso e dei rilievi sugli edifici esistenti convinse Rem Koolhaas di due aspetti. In primo luogo, che non esisteva un “tempo zero” di riferimento per i volumi costruiti: la fabbrica si era sviluppata in tempi diversi occupando, in modo tradizionale, dapprima il perimetro e poi lo spazio interno, con edifici che si trovavano ancora in un buono stato di conservazione - un tipico lotto milanese, a grande scala. In secondo luogo, l’architetto voleva conservare il più possibile questi edifici, senza preconcetti o radicalismi: la funzionalità doveva essere l’obiettivo principale del progetto, eventuali demolizioni e nuovi edifici sarebbero nati da esigenze di ottimizzazione delle attività della Fondazione. Con queste convinzioni, OMA decise di incentrare il progetto su un ampliamento del “repertorio” delle tipologie di spazi per la fruizione dell’arte. La Fondazione Prada avrebbe raccolto tutti gli ambienti oggi possibili e desiderabili, permettendo di esporre ogni opera nelle condizioni più idonee in un sistema ampio che consentisse anche l’organizzazione di film festival, di conferenze e di mostre temporanee eterogenee. Ne è nato un campus che, sebbene costituito da sette edifici recuperati e tre di nuova costruzione, nella sua alternanza di masse costruite e spazi aperti accessibili liberamente al pubblico, mantiene un’elegante coerenza visiva d’insieme e una potenza creativa che conquista e raggiunge l’obiettivo. Un luogo senza ordine gerarchico tra gli edifici, in cui il visitatore si responsabilizza e diventa protagonista, decidendo come muoversi e in che ordine vedere i diversi spazi. Un complesso che si completerà tra un anno con l’alta torre di calcestruzzo bianco e vetro (con cui completeremo il racconto in uno dei prossimi numeri), unico edificio di nuova costruzione che sarà visibile dall’esterno del campus e segnalerà visivamente, anche a distanza, la presenza di questa nuova importante istituzione privata, che sopperisce magistralmente al Pubblico in un campo in cui a Milano è, colpevolmente, pressoché assente.

ASSI VISIVI: TRASPARENZE E MATERICITÀ
Dall’analisi degli edifici esistenti emerse l’impossibilità di adattarli per avere spazi con alte caratteristiche prestazionali e idonei agli standard richiesti internazionalmente per i prestiti di opere nelle esposizioni temporanee. Inoltre, la presenza al centro del lotto di un grande e ingombrante capannone, di realizzazione relativamente recente, ingombrava l’ampio cortile e costituiva un oggettivo ostacolo al sistema di relazioni visive tra le diverse parti del complesso. Da qui l’idea di demolirlo per realizzare al suo posto l’edificio centrale del complesso, sito all’intersezione dei due assi perpendicolari disegnati da OMA e costituito da due grandi ambienti sovrapposti e diversi: il Podium a piano terra e la lunga galleria a sbalzo che lo sovrasta. Il Podium, ipertrasparente e immerso nella luce naturale, è una sala quadrata da 1.035 m2 senza colonne, citazione (replica) omaggio della Neue Nationalgalerie a Berlino di Mies van der Rohe, l’archetipo dell’istituzione pubblica per l’arte, con tanto di montanti di facciata rivolti inusualmente verso l’esterno che, sull’angolo, citano il celebre “pilastro” a croce. Sopra di esso, una galleria interamente opaca, con un’impiantistica ancora più performante che le permette di soddisfare le esigenze più rigorose richiedibili per l’arte. Il loro aspetto esterno appare fortemente monomaterico, con gli ormai noti pannelli in schiuma di alluminio, estremamente leggeri e rigidi, piacevoli al tatto e con un’ottima resa in termini di colore e vibrazione della luce, anche a distanza. Sono stati scovati nel mondo dell’industria militare, in cui vengono usati come riempitivo per le scocche dei mezzi blindati.

RECUPERARE O NO: FUNZIONALITÀ E FLESSIBILITÀ
La gran parte degli edifici preesistenti, con grandi luci, buone altezze e tetti inclinati rivestiti con tegole piane, erano già adatti a ospitare la maggior parte delle opere della collezione permanente, che non richiedono condizioni particolari e per cui è sufficiente un controllo climatico semplice. Nonostante tali edifici fossero tutti staticamente stabili, le nuove normative sismiche hanno imposto di irrigidirne le facciate. Tra le tecniche possibili, nella maggior parte dei casi, si è optato per collegare elementi di acciaio laminato alle facciate, apparentemente simili ai classici pilastri a doppio T, attraverso piastre, quindi senza necessità di una fondazione alla base. Questi elementi hanno un passo ampio, che dialoga coi prospetti esistenti, e possono essere presenti variabilmente all’esterno o all’interno, colorati in modo evidente in bianco, nero o, come avviene all’interno della grande galleria Deposito, con un arancione molto olandese. Nel caso del Cinema, anch’esso monomaterico (questa volta di acciaio specchiato), il volume esistente è stato demolito e il nuovo edificio è una copia pressoché fedele, ma con una struttura molto più resistente, di calcestruzzo, idonea a reggere il peso delle grandi pareti apribili richieste dalla flessibilità totale dello spazio. Infatti, sui suoi lati sono disposti sei moduli apribili che consentiranno di mettere in comunicazione l’interno con le piazze laterali. Un solaio di vetroresina, montabile in poche ore, potrà coprire la platea realizzando un piano che, aprendo anche la corrispondente facciata vetrata mobile del Podium, connetterà i due spazi attraverso la piazza centrale per manifestazioni di grande impatto.

LA FOGLIA D’ORO
All’interno del complesso c’era un edificio a torre, il più alto tra quelli esistenti perché conteneva all’interno l’alambicco dello stabilimento e infatti, era nato privo di solette intermedie. Miuccia Prada l’ha sempre ritenuto come una parte speciale del complesso − lo battezzò personalmente Haunted House − tanto da chiedere che lo si evidenziasse. Oggi presenta ambienti espositivi raccolti, “domestici”, adatti a opere intime. La sua facciata è stata mantenuta (l’isolamento è posto sul lato interno) ed è stata valorizzata, termine quanto mai adatto, rivestendola in vera foglia d’oro, recuperando una tecnica dell’architettura del passato. La tecnica di applicazione, su un nuovo intonaco fortemente liscio di colore rosso per rendere caldo il tono della foglia d’oro (talmente sottile da lasciar intravedere il colore sottostante), recupera la tecnica della colla “missione”, diffusa nel XVIII secolo. Sono stati utilizzati 4 kg d’oro, per circa 100.000 euro, con un costo a metro quadro che non è molto se lo si confronta al costo che avrebbe avuto una facciata rivestita con altro materiale “nobile”, come per esempio un marmo. Gli assi visivi ortogonali, la trasparenza e la luce naturale sono tra i capisaldi del progetto: da est a ovest, i due ingressi, quello già aperto e quello che ci sarà in corrispondenza della torre, sono delimitati anche dallo sbalzo della galleria, realizzato con una trave parete reticolare a tutta altezza. Mentre, da nord a sud, la continuità visiva del Podium è sottolineata ironicamente con i tre archi che, partendo da quelli presenti sulla facciata originaria, sono “estrusi” e riproposti anche sulle facciate vetrate.

Scheda progetto
Progettista: OMA - Rem Koolhaas, Chris van Duijn
Project leader: Federico Pompignoli
Design period: 2008 - 2015
Construction period: 2014 – ongoing
Total built area: 18,900 mq
Localizzazione: Milan, Italy
Progetto architettonico: OMA Progettisti
Partners in charge: Rem Koolhaas, Chris van Duijn
Capo progetto: Federico Pompignoli
Gruppo progettazione costruttiva: M. Budel, M. Cimenti, A. Giovenzana, N. Lee, V. Pricop, P. Panfiluk, C. Pedo’, S. Tagliacarne, L. Fumagalli, A. Vergani, N. Panzeri, S. Bart, M.C. Agnello, D. Troiani, E. Boiardi
Committente: Fondazione Prada
Architetto locale: Alvisi Kirimoto & Partners, Atelier Verticale
Progetto strutture: Favero&Milan, SCE Project
Progetto impianti meccanici: Favero & Milan, Prisma Engineering
Consulente costi: GAD
Ingegneria Acustica: Level Acoustics
Scenografia: Ducks Sceno
Ingegneria del fuoco: GAE Engineering
Opere civili: Colombo Costruzioni
Pannelli mobile cinema: AZA - Aghito Zambonini
Facciate di vetro: Zanetti
Impianti meccanici: Tono
Impianti Impianti elettrici: Alpiq
Rivestimento in foglia d’oro: Teknelitos
Restauri Finiture interne ed esterne: Respedil Opere metalliche (facciate esistenti)
Iron works (existing facades): O.M.M.G.
Ascensori: Maspero Elevatori Marmi
Marble finishing: Fantini Marmi
Photos: Roland Halbe, Bas Princen, Alessio Costantino Mirabella, Stefano Ravasio

Arketipo 100, Italia, marzo 2016