I quattro parcheggi di Christian Kerez fanno parte del “Pearling Path Project”1, il programma di rigenerazione dell’antico insediamento di Al Muharraq avviato dalla Ministra della Cultura del Bahrain, Sheikna Al-Khalifa, e condotto da Noura Al-Sayeh Holtrop, consultente per il Bahrain Authority for Culture and Antiquities (BACA), organismo all’interno del quale è la responsabile della supervisione della pianificazione e dell’implementazione di istituzioni culturali e musei, nonché della consulenza sulle strategie di riqualificazione urbana e sulla creazione di spazi pubblici. Noura Al-Sayeh Holtrop ha svolto un ruolo chiave nella ristrutturazione del Pearling Path Project a Muharraq, che comprende, oltre al restuaro di alcune case storiche, opere di Anne Holtrop con il Green Corner Building, di Valerio Olgiati con il Pearling Path Visitors Center (vedi ARKETIPO n. 150, ottobre 2021) e di OFFICE Kersten Geers David Van Severen con il Pearl Path, percorso che si snoda per circa 3,5 chilometri. Kerez conobbe Noura Al-Sayeh Holtrop alla XII Biennale di Architettura di Venezia del 2010, in occasione della quale Noura era la co curatrice di Reclaim, il padiglione premiato con il Leone d’Oro per la miglior partecipazione nazionale. E proprio da lei ricevette l’incarico per la progettazione dei parcheggi ad Al Muharraq «perché, - rivela l’architetto - dopo aver visto alcuni dei nostri modelli, le era sembrato che non fossi interessato a lavorare sui prospetti; quindi pensò che un parcheggio sarebbe stato un esercizio perfetto per me»2.
Si trattava di intervenire in quattro lotti vuoti nel denso tessuto della ex capitale del Bahrain che già venivano utilizzati per parcheggiare; l’obiettivo era occupare esattamente i confini di quelle aree ed estenderle in verticale così da incrementare il numero di posti macchina disponibili, dare continuità allo spazio urbano orizzontale e prevedere altre funzioni oltre a quella dell’autosilo. I quattro parcheggi sono tutti uguali rispetto al concept di progetto e al sistema strutturale, ma declinati in modo differente in funzione del perimetro di ogni singolo lotto. Il concept è una serie di esili fogli piegati che si fondono in alcuni punti in modo da creare un percorso ascensionale continuo. Kerez si allontana decisamente dallo stereotipo del parcheggio-edificio composto dalla monotona ripetizione di piani identici sovrapposti uno sull’altro e collegati da una rampa. Quanto realizza con la sua “semplice” mossa è uno spazio di grande varietà morfologica e di possibile versatilità funzionale, come verrà detto in seguito. Il sistema strutturale prevede una maglia di colonne prefabbricate in acciaio collegate ai solai, i quali alternano senza soluzione di continuità convessità e concavità, cosicché l’altezza degli interpiani non è mai la stessa. A proposito del sistema strutturale, ossia se si possa ancora parlare di sistema trilitico, Kerez ha risposto che «strutturalmente […] siamo dinanzi a una costruzione piuttosto generica, di solai e colonne. Si tratta di un edificio radicale perché non ha un nucleo centrale, né un sistema di controventatura. È un sistema molto espressivo e organico perché cambia continuamente […]. Le lastre si fondono l’una nell’altra ed è come non ci fossero più confini tra un livello e l’altro […]. In realtà la rampa è diventata essa stessa un edificio e non è più un elemento che può essere separato, come accadeva nel modernismo classico.
Il fatto che il progetto riguardi un parcheggio, non un museo o una biblioteca, non un’abitazione privata ma un’infrastruttura pura con un programma elementare, ha permesso un modo estremamente radicale di immaginare lo spazio»3. La risposta di Kerez apre ad alcune considerazioni. Il sistema strutturale nella sua essenzialità richiama alla memoria la famosa prospettiva raffigurante lo schema strutturale del progetto per la Maison Domino (1914) di Le Corbusier pubblicata anche in Verso una architettura4. È il prototipo moderno della nuda struttura in cemento armato (quella che da allora viene utilizzata nella maggior parte delle costruzioni): fatta di pilastri e piani orizzontali. Afferma Kerez al proposito: «il progetto lavora solo con gli elementi più evidenti dell’architettura: colonne e lastre. Si tratta di una struttura pura ed evidente, senza alcun accessorio»5. Nel libro dal titolo Nuda architettura (2012) Valerio Paolo Mosco scriveva della tendenza di una certa parte dell’architettura contemporanea al «ritorno a una architettura nuda, spogliata, asciugata, anti-decorativa, semplificata non solo nelle forme, ma anche negli apparati concettuali»6, quella che Bruno Zevi avrebbe definito “architettura grado zero”, ossia un’architettura primitiva, priva di scorie intellettualistiche, o che Bernard Tschumi, parlando di “grado zero” del significato, descrive come «qualcosa che non è gravato da alcun significato, né da preferenze formali o estetiche. Qualcosa che non è culturalmente motivato. È il tentativo di ridurre le cose semplicemente a luogo di attività»7. Mosco definisce sei categorie della nuda architettura: skeletal, rough, thin, lyric, frugal e primitive. I parcheggi di Al Muharraq possono senz’altro ricadere nella prima categoria, proprio per la loro tendenza a ridursi alla propria nuda essenza scheletrica, a ossificarsi, e a fare in modo che la loro immagine corrisponda alla struttura, «l’idea di una costruzione di ossa resistenti alle forze agenti su di essa»8. Per l’evoluzione dello schema lecorbuseriano - probabilmente stimolata, fra le altre, dalle ricerche sulla “funzione obliqua” di Claude Parent, ossia l’idea di superare il “semplice” piano orizzontale modernista, e dalle possibilità del calcolo e del disegno consentite dall’informatica, per quanto allora non comparabili a quelle attuali - bisogna aspettare un’ottantina d’anni, con il progetto di OMA per la Biblioteca Jussieu (1992) a Parigi, qui la griglia ordinata di pilastri rimane identica (seppure a una scala letteralmente diversa), ma i piani vengono piegati e modellati come fossero di plastilina, e quindi collegati e fusi a formare un continuum ascensionale cosicché non ci sia soluzione di continuità fra l’uno e l’altro. Oggi, a distanza di trent’anni, Kerez, per quanto inconsapevolmente9, ha mostrato in modo sublime, grazie alla realtà del costruito, come avrebbe potuto essere percepita e funzionare l’intuizione spaziale di OMA, seppure con dimensioni diverse e con un’altra destinazione d’uso, se fosse mai stata realizzata10.
Oltre al continuum verticale dei piani piegati, ci sono altre consonanze fra i due progetti. Kerez, come riportato nella prima citazione, non si è curato dei prospetti - basti guardare alla maggior parte dei suoi progetti, realizzati e non, dove a risaltare è la struttura, non le facciate, che paiono risultare come logica conseguenza dello schema strutturale, senza alcuna ambizione comunicativa -, lo stesso accade con la Biblioteca Jussieu, di cui OMA nelle pubblicazioni ha sempre proposto foto del plastico senza “tamponature” verticali, quasi a voler sottintendere il disinteresse per il rivestimento della facciata e a orientare invece l’attenzione dell’osservatore verso lo spazio vuoto e l’accatastamento di paesaggi formati dai piani incurvati e inclinati, i veri protagonisti, proprio come nei parcheggi di Muharraq. Un altro dettaglio che accomuna i due progetti, così come il prototipo di Le Corbusier, è il fatto che gli elementi di sostegno verticale non sono a filo facciata, ma retrocedono verso l’interno, quasi a non volersi mostrare. Kerez spiega che l’arretramento serviva «per enfatizzare questo effetto di leggerezza, abbiamo arretrato le colonne e i corrimani dal bordo esterno dei piani, per evitare che l’edificio assomigliasse a un volume»11. Un ulteriore dettaglio, raffinato e virtuosistico per le difficoltà realizzative, che accomuna i due progetti, con la differenza che Kerez lo ha costruito, è lo spessore sempre uguale dei solai. Esso, per ammissione proprio dell’architetto, è stato reso possibile dall’ingegnere Tim Peters. Infine, entrambi i progetti si sono posti l’obiettivo di evitare una soluzione di continuità con lo spazio urbano circostante cosicché lo spazio esterno potesse srotolarsi senza barriere distendendosi verso l’alto. Koolhaas parlava al proposito di un boulevard che dal piano stradale orizzontale si inerpicava in verticale snodandosi attraverso edificio. Kerez afferma che: «l’idea è stata quella di estendere il suolo pubblico in verticale»12 e che «facendo coincidere il confine non con quello del lotto, ma con quello del vialetto o dell'area di parcheggio necessaria […], [ciò] ha prodotto un dialogo ancora più forte tra l’intorno e l’edificio, come non ci fosse un confine netto tra i due. Il contesto valorizza l’edificio e viceversa, e in questi termini l’edificio è soprattutto un progetto urbanistico, e non un oggetto isolato»13. Come racconta l’architetto, questa scelta ha fatto sì che la gente percepisca i parcheggi come luoghi aperti alla comunità, tanto che i cittadini se ne stanno appropriando al di là della funzione primaria: i bambini costruiscono delle macchine per giocare nel parcheggio, c’è chi fa jogging e pattina o persone che semplicemente camminano. D’altronde la possibilità di fruire di quegli spazi non solo come parcheggio, ma di poterli destinare ad altre funzioni era uno degli obiettivi di progetto, tanto che è stato previsto che l’impianto elettrico sia ovunque così da poter utilizzare gli autosilo come luoghi per la preghiera, per il mercato o per altri eventi. Kerez così ha realizzato uno spazio che Bernard Tschumi avrebbe definito dell’in-between, ossia spazi del cambiamento e della mutazione, della fluidità e della variabilità funzionale, spazi delle potenzialità e dell’invenzione, in sintesi spazi dell’evento14, intendendo per evento una modalità di fruizione dello spazio che non è prevedibile, ma che l’affordance dell’edificio può suggerire.
SOLETTE CURVATE E COLONNE PREFABBRICATE
La struttura portante dei parcheggi è costituita da solette curvate realizzate in cemento armato gettato in opera e da colonne prefabbricate in acciaio, con armatura e getto di calcestruzzo al loro interno, il cui diametro varia fra i 25 e 30 centimetri. Le colonne sono distanti circa 10 metri l’una dall’altra; per quanto concerne la loro disposizione, nei lotti “A” e “B” è stato definito un disegno della maglia a diagrid, nei lotti “C” e “D” ci si approssima a un reticolo a maglia quadrata. Delle piastre piegate in acciaio sono saldate alla base e alla sommità di ogni colonna così da collegare le pesanti lastre in cemento armato agli elementi strutturali verticali. L’irrigidimento della struttura necessario per la resistenza ai carichi orizzontali, come quelli provocati dai venti o dai terremoti, è stato ottenuto attraverso le rampe di collegamento fra i diversi livelli che sono unite fra di loro. Le scale circolari all’interno dei parcheggi dovevano essere molto leggere per evitare carichi irregolari all’interno della struttura portante. Le scale a spirale in cemento armato funzionano come una molla appesa alla soletta di copertura e appoggiata a ogni livello. Per realizzare le casseforme dei solai variamente incurvati lo studio di Kerez ha congegnato un sistema che ricorre a prodotti industriali convenzionali, come i ponteggi in tubi innocenti, dove ben poco è personalizzato, tant’è che il 90% di quanto è stato impiegato poteva venire riutilizzato. L’allestimento delle casseforme prevedeva le seguenti fasi: 1. realizzazione delle fondazioni; 2. tracciamento delle coordinate sulle fondazioni e, poi, sui livelli successivi; 3. posizionamento dei tubi innocenti verticali in funzione delle diverse altezze raggiunte dall’intradosso dei solai; 4. posizionamento dei tubi innocenti orizzontali; 5. posizionamento delle aste metalliche diagonali di irrigidimento del ponteggio in tubi innocenti; 6. posizionamento dei profili a “U” alla sommità dei tubi innocenti verticali; 7. inserimento nei profili a “U” e fissaggio delle travi metalliche primarie; 8. posizionamento sulle travi primarie di quelle secondarie; 9. posizionamento sopra le travi secondarie delle tavole di legno sagomate ad hoc per definire l’inclinazione e le curvature dei solai; 10. posizionamento di teli di nylon per evitare colatura del getto e inchiodatura delle doghe di legno sulle tavole sagomate (proprio come si fa con il fasciame delle barche in legno); 11. armatura e getto del calcestruzzo. A proposito del calcestruzzo, il getto è stato organizzato in modo da evitare il più possibile le riprese, le fessurazioni e i giunti di costruzione, in particolare tenendo conto dei problemi di asciugatura dovuti alle alte temperature raggiunte di giorno. Per questa ragione, e anche per non ostacolare il traffico carrabile nel centro storico, i getti sono stati fatti soprattutto di notte. Le superfici in continua evoluzione dei fogli di cemento armato piegati e incurvati hanno reso necessario il disegno di 75.000 sezioni in scala 1:20, realizzate tramite un linguaggio di scripting. Le sezioni sono state successivamente stampate in scala 1:1 per consentire di tagliare in modo corretto in cantiere l’ultimo elemento della cassaforma, ossia le tavole sagomate in legno (fase 9). Oltre alle possibilità contemporanee delle tecnologie digitali, fondamentali per realizzare la geometria infinitamente variabile delle solette in cemento armato, è stato necessario ricorrere a una forza lavoro numerosa, solitamente richiesta nei cantieri del Medio Oriente, reclutata, in questo caso, dall’India, dal Pakistan e dal Bangladesh; spesso in cantiere sono arrivate a esserci più di cento persone. È stata l’attenzione “maniacale” nell’allestire le casseforme e nel gettare il calcestruzzo che ha consentito a Christian Kerez di realizzare quanto auspicava Le Corbusier in Verso una architettura: “L’Architecture, c’est, avec des matières bruts, ètablir des rapports émouvants”, ossia “Architettura è stabilire rapporti emozionali con materiali grezzi”15. Ed è proprio questo l’esergo del famoso articolo di Reyner Banhan dal titolo “The New Brutalism”16, pubblicato su «The Architectural Review» nel 1955, nel quale il critico inglese descriveva e quindi definiva l’allora emergente movimento brutalista.
Scheda progetto
Client: Bahrain Authority of Culture and Antiquities (BACA), Sheikha Mai Bint Mohammed Al-Khalifa, Noura Al-Sayeh Holtrop, Mustafa Salman Al Sulaiman
Date: 2017-2023
Dimensional data: Plot A: 17,148 m2; Plot B: 13,515 m2; Plot C: 6,946
m2; Plot D: 6,987 m2
Project: Multistorey Car Park
Location: Muharraq, Bahrain
Architect: Christian Kerez
Project architect: Caio Barboza
Project team: Daniel Carlson, Laura Paluch, Lisa Kusaka, Dennis Saiello, Raoul Dubois, Jens Knöpfel, Matthias Leutert, Apolinário Soares, Jonas Løland, Sofia Blanco Santos, Christiana Pitsillidou, Korbinian Huber, Enrico Pinto, Siwen Wang, Anna Molodij, Yi Wang, Viktoriya Maleva, Oleksandra Nikitenko
Structural engineering: EDGE
Consulting engineering, Tim Peters
Pre-Stressing slab: Strong Force M.G.C. W.L.L.
Structural engineering, consultant: Monotti Ingeneri Consulenti SA, Mario Monotti
Staircase, concept design: Dr. Neven Kostic GmbH, Neven Kostic
Handrail: Ferrari Gartmann AG, Emanuela Ferrari
Composite column: Patrick Gartmann
Engineer of record: Arsinals Engineering Design
Landscape design: Catherine Dumont d’Ayot, Plot C and D
Concrete consultant: Baukolorit AG, Marianne Huber
Traffic engineering: LK Argus GmbH, Ivan Kosarev
3D traffic simulation: Alden Studio
Lighting: Siegrun Appelt with Mathias Burger
Photos: Maxime Delvaux, Iwan Baan
NOTE
1 https://culture.gov.bh/en/authority/infra_projects/Name,14932,en.php
2 Michel Carlana, “Beyond Parking. Un dialogo con / A conversation with Christian Kerez”, in «Casabella» n. 958, giugno 2024, p. 75.
3 Ibid., p. 86.
4 Le Corbusier, Verso una architettura, Longanesi & C., Milano 1973, p. 194.
5 Carlana, “Beyond Parking…”, cit., p. 90.
6 Valerio Paolo Mosco, Nuda architettura, Skira, Milano 2012, p. 13. Come esemplificativo di questa tendenza nel libro veniva anche pubblicata la Leutschenbach School (2009) di Christian Kerez.
7 Bernard Tschumi, in «GA Document Extra» n. 10, ADA Edita, Tokyo 1997, p. 109.
8 Mosco, cit., p. 44.
9 In quanto a precedenti, Kerez ha affermato di aver guardato al progetto di Konstantin Mel’nikov per il parcheggio a Parigi del 1925.
10 Per la verità gli MVRDV nel progetto realizzato VPRO hanno ripreso praticamente alla lettera l’idea della Biblioteca Jussieu, solo che Koolhaas - in un’intervista (Rem Koolhaas, “Architecture Branding”, in «Arkitektur Aktuell» n. 7-8, July-August 2001, p. 48) - afferma al proposito: «Per me ciò che critico è la deliberata riduzione delle ambizioni nel passaggio da Jussieu al VPRO. La Biblioteca Jussieu era una metafora della città; era collocata in un’importante città e prendeva la superficie di quella città e la piegava in quel modo che determinava, all’interno dell’architettura, una condizione quasi urbana. Villa VPRO è un edificio in mezzo a un prato, in una condizione suburbana. Non è un edificio pubblico, ma un ufficio privato. In questa trasformazione, la metafora di cui si faceva carico Jussieu è stata svilita per trasformarsi in una forma di opportunismo intelligente. L’hanno costruita per prima, a costo di abbandonare la sua dimensione di ricerca».
11 Maxime Delvaux 11 Carlana, cit., p. 90.
12 Ibid., p. 76.
12 Ivi.
13 Bernard Tschumi distingue tra programma ed evento: «Il programma è un insieme di accadimenti attesi, una serie di servizi, spesso basati sul comportamento, sull’usanza o sul costume sociali. Per converso, gli eventi accadono come un insieme di esiti inattesi. Rivelare le potenzialità nascoste o le contraddizioni di un programma, e relazionarle a una configurazione spaziale
particolarmente appropriata (o possibilmente eccezionale), potrebbe creare le condizioni perché eventi inattesi accadano. Per esempio, si potrebbero combinare o mettere insieme attività programmate al fine di provocare una configurazione spaziale di modo che, mescolando elementi programmatici altrimenti comuni o prevedibili, esse generino eventi insoliti e imprevedibili.
Ho spesso chiamato questa configurazione spaziale l’inbetween», da Bernard Tschumi, Event-Cities 2, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts/London, England 2000, p. 13.
15 Le Corbusier, cit., p. 121.
16 L’articolo è disponibile al link: https://medium.com/on-architecture-1/the-new-brutalism-6601463336e8 (ultimo accesso: 05/07/2024).