La rosa del deserto è nella conoscenza collettiva e quindi immediatamente riconoscibile da tutti, tanto più dal popolo del Qatar che nella tradizione, fino a circa quaranta anni fa, era di pastori nomadi e pescatori di perle, cui è dedicato il museo. Il milieu decostruttivo (quasi) universale ha permesso la realizzazione di un oggetto senza tempo, che non ha precedenti e non avrà imitatori: è un assoluto ontologicamente presente con la sua forza. Un’architettura allegorica, come quella teorizzata, ma mai realizzata cui aspiravano alcune avanguardie nel dopoguerra “abbiamo utilizzato elementi tratti dall’anatomia umana o basati su oggetti matematici, figurazioni plastiche in tre dimensioni, ...forme allegoriche con cui proponiamo di costruire l’architettura di domani...” (scriveva M. Jean, in Allegorical architecture, nel 1946). Il riferimento più recente è alla morfogenesi che unisce il progetto al processo di generazione con il digitale, per nuove conformazioni informali, “che suggeriscono animalismo, animismo, crescita, attuazione, vitalità, virtualità” per ottenere una forma “virtualmente animata e attualmente stabile” come è proprio del Museo del Qatar. (G. Lynn, Animate form, 1999).“Le forme rappresentative di questa tendenza sono complesse e curve, lisce e intersecanti, lucide e translucide, sottili e diagrammatiche... le materializzazioni si intersecano e le tecniche derivano dalla tecnologia digitale...” (A. Vidler, La deformazione dello spazio, 2000). Ma quest’opera è al di là dell’allegoria evidente che cita e della morfogenesi: è andata oltre, un assoluto che non ha riferimenti contestuali perché genera il contesto, in totale autonomia, al limite delle possibilità creative, superando ogni riferimento critico. È allegoria di se stessa: un capolavoro immediatamente riconosciuto oggi ma come tale già nel futuro, nella storia dell’architettura e della cultura come unicum, anche nella pur prodigiosa produzione dell’autore, oltre il pur straordinario Louvre di Abu Dhabi, inaugurato da poco più di un anno, differenze che sottolineano l’unicità del Museo di Doha.

Il progetto, iniziato nel 2003 e la realizzazione sono un prodotto straordinario, inaspettato, sorprendente, anche indefinibile, senza riferimenti, citazioni, confronti nel panorama contemporaneo, pur così vasto di opere originali e a volte straordinarie. Non c’è riferimento stilistico, non c’è citazione storica, non ci sono assi visuali, non c’è prospettiva privilegiata: non è avanguardia perché opera definitiva. Un’unità di immagini fratturate e discontinue, diverse e simili, orizzontali, diagonali, verticali, inclinate, senza angoli retti, sconosciuti al popolo del deserto come all’architettura contemporanea. È un iperprogetto in cui l’architettura afferma se stessa: non si riconoscono più le tre dimensioni cartesiane classiche dell’architettura, perché la si può leggere solo aggirandola, percorrendola dall’esterno o ruotando lo sguardo nel cortile interno, una visione che può essere solo dinamica e diacronica, che è la quarta dimensione dell’architettura, che è la vera nuova dimensione di solo poche opere del contemporaneo, che non si immaginava neanche nel modernismo e si studiava solo teoricamente nelle arti figurative(L. D. Anderson, The fourth dimension... in modern art, 1983). Un’immagine omogenea, monocromatica, con una continua complessità di piani, superfici, aggetti, per cui tutti i fronti -non si può parlare di facciate- sono tridimensionali di grandi profondità, con forti ombre in un Paese che ha tanta luce solare. Una analogia figurativa fuori dell’architettura con i cubisti che scomponevano il soggetto in molti elementi intersecantisi in ogni direzione, ricercando oltre la tela una dimensione in più, l’effetto del rilievo, con un monocromatismo simile sui toni del marrone, o alle sculture di A. Pomodoro, che alternano a parti lisce e lucide, squarci con sequenze fitte di lame, di elementi assai profondi e moltiplicati, nei pochi colori naturali dei metalli, nelle stesse tonalità, in cui emerge la natura mineraria dell’opera, con richiami immaginativi al primitivismo. L’aggregazione per definizione non ha un centro: il complesso in sequenza dei molti corpi si sviluppa intorno a un grande cortile aggirando il palazzo storico, ottocentesco, dello sceicco Abdullah bin Jassim Al Thani; è sviluppato su un solo piano, con quattro livelli solo nel corpo principale. Intorno ci sono alcuni altri corpi di servizio di simile architettura.

La complessità dell’architettura non permette di immaginare l’interno, che è il negativo della costruzione, in una successione fluida di spazi di grandi dimensioni tra pareti inclinate, spezzate, soffitti e pavimenti non sempre piani, “come un muro orizzontale” (Le Corbusier), come l’interno di poliedria molti lati, pareti destabilizzanti, quasi si percorresse l’interno di una caverna con pochi oggetti di qualità esposti, animato da magnifiche proiezioni a tutt’altezza a colori o in bianco/nero con dettagli sottolineati da colori, in dimensioni sovraumane. Una instabilità dinamica coinvolgente: un percorso totalmente immersivo, che racconta per successioni tematiche la storia del Qatar, dalla formazione geologica, alla vita animale nel deserto, dalla vita dei nomadi nelle tende, ai dettagli costruttivi tradizionali, dai falconieri ai pescatori di perle, fino agli impianti petroliferi e alla nuova realtà urbana. Non è un museo di arte, di cui ci sono solo poche opere, ma un vero museo nazionale, completo, testimoniale, documentario. Non ci sono quasi finestre, non c’è visibilità dell’esterno, non c’è luce naturale, ma non serve, il mondo interno è una realtà altra rispetto all’esterno e la visibilità di un paesaggio sarebbe inutilmente distraente. Uno spazio topologico di pieghe dinamiche quasi la materializzazione della descrizione di G. Deleuze quando scrive “lo spazio (interno) leibniziano che rifiuta le linee verticali e orizzontali a favore di curve continue, morbide, secondo un movimento monadico” (Le pli, 1988). Il Museo sarà un fortissimo richiamo per Doha, ma va visto nell’insieme delle nuove architetture che danno una fisionomia urbana moderna alla città, che lo sceiccato sta promuovendo, oltre i centri commerciali in stile e il souk: il gruppo denso di nuovi grattacieli dalle forme ricercate di West bay, una downtown affacciata sul golfo, e il campus universitario “Education” con la superbiblioteca, frequentatissima, di Koolhaas, il grandissimo centro congressi di Isozaki, la Qatar foundation, i residence universitari, una nuova modernissima moschea diversa dalle tipologie tradizionali, un Oxygen park, esemplare per l’utilizzo dell’acqua, dell’aria vaporizzata, didascalico, di sosta e divertimento, e per finire i nuovi stadi per i campionati mondiali di calcio del 2022, uno progettato da Zaha Hadid.

LA TECNOLOGIA DEI DISCHI

L’architettura del Qatar National Museum è composta dall’intreccio di 539 dischi dal diametro variabile da 14 a 87 m che definiscono, in funzione della direzione di posa, le coperture, i solai e le chiusure verticali degli 8.700 mq di spazi espositivi. Considerato il “concept compositivo” e le condizioni climatiche locali la scelta del materiale di finitura è ricaduta sull’utilizzo del calcestruzzo brorinforzato (GRC - Glass Reinforced Concrete), materiale composito che unisce le caratteristiche di resistenza a compressione della matrice cementizia con la resistenza a trazione delle fibre di vetro. L’utilizzo del GRC ha permesso di ridurre drasticamente lo spessore degli elementi (fino a 40 mm in sezione e 60 mm sul perimetro) riducendone il peso, mantenendo nel contempo possibile la realizzazione di grandi dimensioni anche in un contesto caratterizzato da elevate sollecitazioni dovute prevalentemente al vento e alle escursioni termiche (da 10 °C a 85 °C). Nello specifico i 110.000 mq di superficie esterna, diversamente orientate, sono rivestiti da pannelli a geometria variabile, tutti caratterizzati da una superficie minore di 2 mq (per contenere il peso entro i 180 kg), fissati sulla struttura in acciaio che conferisce la forma a doppia curvatura dei dischi. Grazie alla modellazione parametrica, la geometria dei 76.000 pannelli che ricoprono l’intera struttura è stata adottata e raggruppata in sole 31 diverse geometrie ottimizzandone sia la produzione che la relativa posa in opera. I 232 km di giunto (dello spessore di 15 mm) sono stati risolti con una doppia guarnizione, costituita da un primo giunto elastico in EPDM a cui è stato sovrapposto uno strato di silicone che conferisce alla superficie una prima tenuta ai forti venti e alla penetrazione della sabbia.

LA TECNOLOGIA DELLA STRUTTURA PORTANTE
L’insieme dei dischi, che costituiscono da un lato la morfologia del museo, definiscono anche la struttura portante dell’intero edificio. Tutti gli elementi sono realizzati dall’accoppiamento di una struttura principale a traliccio e di una sovrastante secondaria in profili di acciaio. Quest’ultima, del peso di 1.500 tonnellate, collegata attraverso montanti verticali ad altezza variabile alla struttura principale, è assemblata con un mozzo centrale e razze costituite da profili scatolari curvati e connesse tra loro da profili tubolari circolari. Il risultato è una griglia a raggiera assialmente simmetrica in grado di sostenere, attraverso profili a “Z”, porzioni anch’esse modulari di pannelli di finitura in GRC. I profili strutturali secondari sono costituiti da travi con una luce massima di 3 m, incernierate a una estremità e libere di scorrere nella parte opposta in modo da non trasferire le dilatazioni termiche alla struttura principale sottostante. Il perimetro a cuspide dei dischi è realizzato utilizzando elementi unici in GRC “chiamati nasi” a geometria variabili in funzione della curvatura del disco, collegati alla struttura principale attraverso barre in acciaio da 16 mm di diametro con bulloni contrapposti di regolazione. Per i dischi di copertura, la chiusura delle sezioni tra le travature principali è stata eseguita attraverso la posa di profili in lamiera grecata da 41 mm utilizzata come piano di posa per un doppio strato (da 100 mm l’uno) di isolante in vetro cellulare con trasmittanza termica pari a 0,2 W/mqk. La tipologia dell’isolamento è stata scelta, da un lato, a garanzia di una maggiore durabilità e, dall’altro, per la caratteristica di impermeabilità all’acqua e al vapore propria del materiale per cui non è stata necessaria la posa di ulteriore manto di tenuta. Inoltre, l’accoppiamento di materiali con coefficienti di dilatazione lineare simili (vetro cellulare, calcestruzzo e acciaio) permette un naturale movimento termico senza danni localizzati alla struttura o al rivestimento.

LA PROGETTAZIONE BIM
Considerata l’estrema complessità geometrico-strutturale dell’opera, tutte le fasi del processo progettuale/costruttivo sono state affrontate sfruttando le potenzialità della progettazione BIM (Building Information Modeling). L’applicazione della metodologia BIM ha permesso di verificare e monitorare le interferenze tra le diverse lavorazioni evitando controversie e costose rielaborazioni durante il processo di costruzione, tenendo sotto controllo i costi e le tempistiche di costruzione. Al fine di ridurre al massimo potenziali errori di valutazione, prima dell’inizio della costruzione è stato predisposto un “mock-up” di 1/3 dell’edificio svolgendo quattro mesi di tesi e risolvendo le criticità tecniche-strutturali. L’approccio BIM ha permesso l’estrazione di dati 2D/3D direttamente dal modello in modo da fornire tutti i disegni alle diverse scale con una fedeltà superiore rispetto a quanto convenzionalmente possibile. Lo scambio di dati tra il team di progettisti coinvolti (più di 150 persone distribuite in circa 25 aziende) è avvenuto attraverso una specifica piattaforma di condivisione utilizzata per facilitare e tracciare i confronti tra i coordinatori delle diverse discipline nonché per il controllo della fase esecutiva. Nello specifico è stato condiviso un “Construction BIM” dalla dimensione di 1 TB realizzato in piattaforme multiple e composto da più di 150,000 le, da cui sono stati estratti i disegni di cantiere. Data la complessità dell’opera e per rispondere alle mutevoli esigenze di cantiere, la struttura del programma lavori è pensata a cadenza settimanale e condivisa con i circa 4.000 lavoratori. Inoltre, il disegno BIM è stato continuamente aggiornato grazie a rilievi “as-built” e scansioni laser ad alta definizione al fine di produrre e condividere un “As-Built BIM” che verrà utilizzato per le operazioni di gestione e di manutenzione dell’intera struttura da parte della Qatar Museums Authority.

STRATEGIA IMPIANTISTICA E SOSTENIBILITÀ ENERGETICA
Nonostante la severità delle condizioni climatiche tipiche di Doha, il museo ha ottenuto la certificazione USGBC LEED Gold (Energy and Environmental Design) e GSAS 4 Stelle (Global Sustainability Assessment System). La progettazione passiva è una parte essenziale della strategia energetico-ambientale dell’edificio. I dischi sporgenti sono disposti in modo da fornire una significativa ombreggiatura alle aperture finestrate, riducendo l’energia in ingresso e migliorando la qualità della luce naturale interna. L’accoppiamento di elevati livelli di isolamento termico e di intercapedini d’aria, riducono i guadagni di calore attraverso l’involucro; il colore della finitura della pelle esterna dell’edificio ha un’ulteriore funzione schermante in grado di riflettere la maggior parte dell’energia solare diretta. Gli impianti di trattamento dell’aria sono stati progettati per conservare al meglio le opere d’arte contenute limitandone il fabbisogno di energia. Le aree delle gallerie sono servite da sistemi di climatizzazione a tutt’aria del tipo a dislocamento, suddivisi in zone per consentire a ogni galleria di essere controllata in modo indipendente, se necessario. Per aumentare l’efficienza del sistema, la qualità dell’aria (in contenuto di CO2) è costantemente monitorata in modo da regolare il volume di aria esterna immessa in rapporto alla reale occupazione dell’edificio. Ciò significa che solo la quantità di aria calda necessaria proveniente dall’esterno viene filtrata e raffreddata con risparmi di energia fino al 40%. La conservazione dell’acqua è un punto focale del progetto: le torri di raffreddamento possono essere in alcuni momenti azionate “a secco” e quando normalmente in funzione l’acqua in evaporazione viene recuperata e nuovamente immessa nel circuito di raffrescamento. L’acciaio e il calcestruzzo utilizzati sono di provenienza e di produzione locale, inoltre, l’uso del GRC e di isolamenti con elevato materiale riciclato hanno permesso di ridurre drasticamente le quantità di materie prime impiegate.

Scheda progetto
Committente: Qatar National Museum and Qatar Petroleum, Doha
Località: Al Corniche Street, Doha, Qatar
Design: Jean Nouvel (Atelier Jean Nouvel), Paris (FR) /Eric Maria, Geneve (CH)
Data: 2003-2019
Superficie lorda: 52,167 mq
Progettista: Jean Nouvel (Atelier Jean Nouvel), Parigi (FR) / Eric Maria, Geneve (CH)
Sviluppo del modello BIM 3D: Trimble Consulting
Ingegnerizzazione: Arup, Londra (ENG)
Ingegnerizzazione delle facciate: Ingphi SA, Lausanne (CH)
General contractor: Hyundai Engineering & Construction Co. Ltd, Seoul
Studio di progetto: 2004-2011
Cantiere: 2011-2018
Apertura: 03/2019
Superficie utile: 30,064 mq
Superficie per mostre permanenti: 7.000 mq
Superficie per mostre temporanee: 1.700 mq
Giardino esterno: 11.200 mq
Photos: Iwan Baan, Paolo Favole, Danica O. Kus

Arketipo 130, giugno 2019, Aggregazioni