«Il tema del magazzino automatizzato Pedrali di Mornico al Serio per l’omonima azienda produttrice di sedie, tavoli, complementi d’arredo e lampade, è il rivestimento della scatola, le cui dimensioni date erano il risultato dello studio dei flussi produttivi, di movimentazione e di immagazzinamento attuali e futuri. Si tratta di un tema al limite fra architettura, design e paesaggio. Non rientra nei canoni tradizionali dell’edilizia industriale, perché in questo caso non c’è distinzione fra tecnica e struttura, nel senso che la struttura che sostiene il grande volume sono gli scaffali stessi. L’edificio quindi non si colloca nella tradizione dei grandi capannoni industriali costruiti, spesso in cemento armato prefabbricato, per contenere le macchine, ma la macchina stessa è la struttura», afferma Cino Zucchi. Secondo l’architetta paesaggista Daniela Colafranceschi una caratteristica «[dell’] architettura contemporanea [è esibire] attraverso le sue pellicole sensibili esterne, attraverso la sua “pelle”, una volontà di efficacia comunicativa capace di competere, nell’era telematica, con quella “virtuale” del cinema e della televisione» (D. Colafranceschi, Architettura in superficie, Gangemi Editore, Roma, 1995, p. 13). Nota ancora Colafranceschi come nella città contemporanea prevalga la "discontinuità", che si verifica quando l'architettura non cerca più una ricucitura dei tessuti urbani, ma oppone loro l'individualità e la distinzione tipica dei luoghi della città destrutturata, dove è demandato ai tratti somatici delle architetture, in particolare alla pelle, il compito di definirne il proprio carattere, ruolo e significato in rapporto con la forma urbis o, come nel caso del magazzino Pedrali, con gli artefatti industriali e gli elementi naturali dello spazio circostante.
Secondo questa logica le superfici dell'architettura diventano "catalizzatori di emozioni", "motori di seduzione", schermi pubblicitari di cui l'architetto è regista, scenografo e designer. Trattare la pelle dell'architettura come tema a sé stante ed elemento autonomo, affrancato dall'onestà strutturale di matrice funzionalista e quindi dalla formula secondo la quale "la forma segue la funzione", rimanda agli studi condotti su Las Vegas da Robert Venturi, Denise Scott Brown, Steven Izenour pubblicati nel libro Imparare da Las Vegas. Il simbolismo dimenticato della forma architettonica (1972). Tom Wolfe scrisse che «le insegne sono diventate l’architettura di Las Vegas», l’affermazione era un preludio alla formulazione teorica del “decorated shed” di Venturi, Scott Brown e Izenour secondo cui l’architettura ha un doppio volto, perché fornisce sia un riparo sia una comunicazione, ovvero un capannone e una decorazione. In un’intervista del 2018 Denise Scott Brown ha riconosciuto che, quando dissero che la maggior parte degli edifici avrebbe dovuto essere progettata come dei “capannoni decorati”, si trattava certamente di un’affermazione estrema, ma era utile ad «allontanare l’idea che lo spazio fosse l’unica cosa di cui si occupa l’architettura: lo spazio è solo una delle tante componenti dell’architettura». (https://www.archdaily. com/902511/we-learn-from-the-ordinary-robert-venturi-and-denise-scott-brown). Secondo lo studio di Philadelphia all’involucro o al fronte principale è destinato il ruolo comunicativo, che può assumere le forme più varie: può essere un vero e proprio cartellone pubblicitario, apposto di fronte al volume tendenzialmente anonimo e muto dell'architettura, come dimostrano alcuni progetti di Venturi, Scott Brown and Associates fra i quali il National Collegiate Football Hall of Fame (1967) a New Brunswick, nel New Jersey, oppure una decorazione avvolgente, a mo' di rivestimento cartaceo, come nel Ioro Best Products Showroom (1978) a Langhorne, in Pennsylvania. Dalla pubblicazione di Imparando da Las Vegas l'ornamento non è più un delitto, e da allora in poi molti architetti, ma anche artisti (per esempio, Ned Kahn), si sono cimentati nel decorare la pelle degli edifici - come dei tatuatori, dei graphic designer o designer di tessuti -, trattata come elemento autonomo da quanto riveste, con forme, spessori, sporgenze, texture, motivi e materiali i più diversi.
Sono tanti gli architetti contemporanei a esplorare il tema del rivestimento dell'edificio, fra questi Cino Zucchi cita Sauerbruch & Hutton, noti per le loro facciate pixellate, come nel caso del loro magazzino Sedus High-bay (2003), a Dogern, Germania, e Herzog & de Meuron, da lui particolarmente ammirati, con specifico riferimento a uno dei primi edifici a renderli famosi, ossia, sempre in tema di magazzini, il deposito Ricola (1987) a Laufen, in Svizzera, che inaugura una serie di progetti, il cui filo conduttore è la facciata decorata, fra questi il centro di produzione e deposito Ricola-Europe SA (1993), le centraline delle stazioni ferroviarie a Basilea (1991-94 e 1998-99), la biblioteca della Eberswalde Technical School Library (1997-99) a Eberswalde, in Germania, e altri ancora. Il team CZA ha declinato il tema del rivestimento rifuggendo dalle ipotesi di ambientamento, ovvero dall’idea, spesso caldeggiata dalle amministrazioni locali, di mascherare i grandi edifici industriali con colori capaci di confonderli con quelli del cielo e dell’intorno o con improbabili camuffamenti echeggianti tipologie costruttive storiche tradizionali, che la stessa commissione paesaggistica cercava di suggerire durante gli incontri di presentazione del progetto. Cino Zucchi lamenta il fatto che un tempo le opere funzionali erano anche belle, come, per esempio, gli acquedotti romani, mentre oggi non siamo mai completamente soddisfatti della forma degli edifici produttivi e industriali della contemporaneità, ragion per cui si cerca di nasconderli, anche a dispetto delle loro dimensioni. Da qui la scelta di non ricorrere ad alcun artificio per mimetizzare il magazzino Pedrali, a di conferirgli un "carattere attraverso delle esili lamelle dalla sezione a "L", definite per analogia "fili d'erba", la cui trama ritma le superfici delle facciate, altrimenti mute e inarticolate. Il pattern geometrico combinato con i colori delle lamelle (del colore dell'alluminio da una parte e di tre tonalità del verde dall'altra) non è un gesto gratuito e privo di funzione, perché CZA l'ha concepito sia come "un amplificatore meteorologico", capace di aumentare in reattività della pelle dell'edificio alla luce del sole e al suo variare di colore, intensità e direzione durante l’arco della giornata e delle stagioni, sia come un congegno in grado di introdurre una “dimensione cinematica” nell’edificio grazie al movimento del sole. Al proposito Zucchi cita come possibile riferimento ideativo la serie dei trenta quadri dedicati alla facciata della Cattedrale di Rouen dipinta da Claude Monet tra il 1892 e il 1894 dallo stesso punto di vista, ma in momenti differenti della giornata e delle stagioni, così da catturare le variazioni cromatiche del prospetto principale in funzione delle diverse condizioni di luce, che è proprio l’effetto che lo studio CZA voleva ottenere con il rivestimento.
Il magazzino Pedrali, che è il quarto di tre capannoni preesistenti, alti 10 metri e disposti in successione ordinata uno accanto all’altro, è stato collocato nel lotto libero a sud ed è parallelo agli altri. Per animare il volume e radicarlo nel contesto, lo studio CZA ha lavorato sull’inflessione della scatola, inclinando la cortina ovest della facciata rispetto all’andamento dell’antica roggia che un tempo passava lì affianco, e, in corrispondenza del prospetto nord, tagliando la pelle di rivestimento e traslandola verso est in modo da farla sporgere così da trasformarla in una quinta prospettiva capace di segnalare la presenza del magazzino a chi proviene dall’ingresso principale e guarda a sud del complesso industriale Pedrali. Zucchi afferma che «l’edificio si “inchina” di fronte a un paesaggio ancora segnato da tracce profonde, come la famosa via Francesca, che un tempo passava qui vicino e giungeva perfino a Santiago di Compostela». Il volume del magazzino ha una base rettangolare di circa 122x37,6 metrim la sua altezza fuori terra è di 24,5 metri, mentre la sua altezza utile interna è di 26,7 metri, essendo stato interrato di 4 metri. Il deposito, che consente lo stoccaggio di 16.880 pallet di prodotti finiti e semilavorati, è collegato a tutti i reparti produttivi con uno skytrain e dieci navette autostrerzanti, che trasportano i pallet al magazzino, dove dei trasloelevatori, lungo cinque corrodoi, li movimentano in orizzontale e verticale tra le macroscaffalature portanti in acciaio. Un aspetto a cui è stata dedicata particolare attenzione è la planarità della platea di fondazione in cemento armato, perché anche una lieve pendenza avrebbe provocato un'inclinazione significativa lungo la verticale tale da compromettere il corretto funzionamento dei trasloelevatori. Tra il magazzino e gli edifici preesistenti si trova un edificio di raccordo, largo 11,5 metri e alto 9, dove arrivano tutti i pallet; qui, alla quota del piano di calpestio, ci sono le rotaie delle navette che, lungo un circuito a "L", portano i pallet ai trasloelevatori. Lo spazio è caratterizzato da una sorta di matroneo verde in acciaio dal quale è possibile vedere il lavoro incessante, 24 ore su 24, dello stoccaggio.
FILI D’ERBA
Lo studio CZA presentò a Pedrali due proposte alternative per il rivestimento della facciata del nuovo magazzino. La prima si chiama "Switt Shelter" (nido per rondoni) e prende spunto dai nidi artificiali che si trovano spesso nella città, appesi alle pareti delle case e ai rami degli alberi, oppure come oggetti scultorei a sé stanti. Tutte le facciate dell'edificio sono punteggiate da centinaia di nidi, disegnati nel dettaglio da Cino Zucchi, sostenuti da una trama di rami artificiali in modo da trasformare il magazzino in una specie di albero attorno al quale avrebbero turbinato incessantemente gli uccelli. La proposta fu scartata per ragioni igieniche e di manutenzione delle facciate e delle aree limitrofe. La seconda proposta, quella scelta dalla committenza, si chiama "Fili d'erba", per analogia con gli steli dell'erba, dei fiori e delle piante dei campi circostanti, e prevede un pattern di elementi filiformi realizzati con lamelle di alluminio profilato realizzate ad hoc, ma industrialmente, così da non tradire il carattere dell'edificio. Le lamelle sono a forma di "L", sullo stretto dorso e sulla faccia del lato verticale sono state lasciate del colore naturale dell'alluminio, mentre le superfici della "L" sono state colorate con tre tonalità di verde. Si potrebbe pensare che guardando le singole facciate da certi punti di vista possano sembrare o solo monocrome o solo colorate, in realtà si genera un fenomeno ottico cangiante, "simile - afferma Zucchi - a quello delle ali di una farfalla o delle elitre di un coleottero", ossia la riflessione dei toni cromatici dei lati colorati sulle facciate opposte color alluminio, percepibili da chi, per esempio, percorre la strada da est verso ovest. In origine la lamelle dovevano essere sia verticali, sia leggermente inclinate, ma per ragioni per ragioni legate alla resistenza al vento lo studio CZA ha rinunciato alla seconda opzione. Tutte le lamelle, imbullonate alle pareti di pannelli sandwich di alluminio che rivestono la scatola (i pannelli non sono particolarmente performanti da un punto di vista energetico, perché nel magazzino non ci lavorano le persone), rispettano un passo costante di 250 centimetri in altezza, sia quando sono disposte in verticale, sia quando sono oblique, quindi la dimensione del modulo di queste ultime è maggiore di quella delle prime.
Scheda progetto
Programme: commercial & industrial
Year: 2016
Client: Pedrali
Design team: Cino Zucchi Architetti
Design team (CZA): Cino Zucchi, Andrea Viganò, Michele Corno (project leader), Alberto Brezigia, Giacomo Monari, Silvia Comi (graphic), Stefano Goffi (models)
Facade: Frea & Frea srl
Metallic carpentry: Mangili & Associati spa
Automated warehouse: System Logistic spa
Project management: Alberto Fortunato
Photos: Filippo Romano, Cino Zucchi
Arketipo 171, Textile, gennaio 2024