Nel secondo dopoguerra, a Reggio Emilia, Loris Malaguzzi prende una posizione forte contro il modello fascista: per educare i bambini si può e si deve fare di meglio che una scuola austera di lezioni frontali e disciplina impartita a bacchettate sulle mani. A partire dai metodi di didattica attiva di fine Ottocento, come il Montessori, propone in alcune scuole di Reggio Emilia qualcosa di simile, ma più informale: un’educazione fatta di didattica partecipata, cooperativa, priva di programmi e che nasce dalla curiosità intrinseca del bambino. La scuola come produttrice e non come docente di cultura. Non essendo un modello educativo rigido, consente agli insegnanti libertà di adeguarlo e modificarlo, e riesce così a espandersi oltralpe, adattandosi ad altre culture e formati pedagogici.
Nel 2009 arriva infine in Spagna, nel quartiere dell’El Encinar de los Reyes di Madrid. Un’associazione privata di insegnanti, genitori ed educatori, afferente alla preside Eva Martín, avvia un progetto didattico che culmina con una raccolta fondi per la costruzione di un edificio dedicato, dopo nove anni di lezioni in locali presi in affitto. Nasce così la prima Scuola Reggio in Spagna. È una Scuola che parla cento lingue, come i bambini in una famosa filastrocca di Loris Malaguzzi, e risponde agli adulti che “Gli dicono insomma / che il cento non c’è.” La Scuola Reggio si affianca al suo abitante più piccolo, e “Il bambino dice: / invece il cento c’è”. La prima di queste lingue è, cronologicamente, quella della committenza. Viene infatti affidato a uno studio locale la realizzazione di un progetto preliminare, che delinea un istituto estensivo, su un grande lotto di terreno, con lunghi corridoi e tante aule affacciate; una qualsiasi scuola tradizionale.
Commenta Roberto Gonzalez, a capo del gruppo di progettazione di Office for Political Innovation insieme ad Andrés Jaque, che «la preside ci disse che non sapevano esattamente cosa volessero, ma di sicuro non era quello». La didattica dell’approccio Reggio Emilia non è d’altronde tradizionale, così come non lo è l’approccio alla progettazione dello studio di Andrés Jaque. Forse, se esiste, è proprio il genius loci a farli incontrare. Chiamato alla progettazione dal consorzio di educatori e genitori, lo studio di Jaque comincia a parlare la lingua del confronto. Nel 2018 apre un percorso di consultazioni con docenti genitori e bambini, che dura quasi due anni.
Raccolgono molti spunti ideativi: unə alunnə chiede che la scuola sia “come un giardino”, unə altrə che “non sia troppo grande, per non perdersi”. Il corpo docente spinge invece per sottolineare il ruolo pedagogico dell’ambiente. Secondo l’Approccio Reggio Emilia, infatti, lo spazio concorre a stimolare la curiosità dei bambini, senza porre cesure tra apprendimento e svago, e permettendo di modificarlo in sicurezza, fomentando il benessere dei suoi utenti. La terza lingua è quindi quella dello spazio. L’istituto è “intensivo”, sviluppato in verticale, e secondo le parole degli architetti “una stratificazione di sistemi spaziali diversi accostati, che rimanda all’infrastruttura agricola di Lacaton e Vassal”. La sala multifunzionale al primo piano - l’agorà - è marcata da ampi archi di cemento armato a vista e richiama le grandi strutture civili. La maggior parte delle aule ricorda, con tetto a falda e pareti in mattoni, una schiera di villette. La copertura è in parte disegnata come shed industriali, e, inserite tra questi elementi, si trovano serre per la preservazione e la divulgazione di flora e fauna. Due elementi di risalta, infine, sono raccolti dentro torri. L’accostamento di diversi tipi spaziali è indirizzato a sua volta a stimolare curiosità e sorpresa. Secondo l’Office for Political Innovation permette infatti di porre il bambino di fronte a realtà architettoniche molto diverse in poco spazio - e i percorsi dentro a questa architettura si trasformano così in percorsi nelle architetture del mondo. La quarta, quinta, sesta lingua, e fino al cento, sono le decine di chiavi di lettura con le quali si raccontano punti linee e superfici della Scuola.
Una di quelle che parla a voce più piena è la scelta delle finiture di facciata. Dalle foto risulta infatti immediatamente riconoscibile, e con una grande forza comunicativa: superfici gialle irregolari nelle quali si collocano specchiature tradizionali, alternate a oblò circolari. Secondo unə alunnə è “un robot di burro”. Il colore si scopre essere però quello di un’altra sostanza naturale: il sughero. Poroso e irregolare, è una pelle viva, che negli anni è pensata per coprirsi di muschio e di vita. Gli oblò sono invece aperture di plexiglass rubate ai camper e alle roulotte, che li avevano dimenticati in un magazzino e bollati per il trattamento come macerie. Un’altra è la lingua dei percorsi nella scuola, che non distingue tra spazi per l’apprendimento e per lo svago: nei corridoi si sviluppa la biblioteca, e si possono spostare sedute per fermarsi in qualsiasi punto a leggere e imparare; nelle aule gli arredi si spostano per consentire il gioco. Tra un piano e l’altro, e tra l’interno e l’esterno, il principio che porta al movimento è la curiosità per la scoperta - giardini pensili, ponti sospesi, grandi scalinate, tubature per l’aria da inseguire fino al tetto. Un’altra ancora sono i mobili su misura, i colori delle pareti, i pannelli con puntine da disegno. Gli interni, insomma, pensati nel dettaglio per i loro abitanti.
L’approccio Reggio Emilia, pur nella sua distanza dai modelli di insegnamento più rigidi, richiede comunque che gli oggetti siano a misura di bambino, e che i colori non siano mai primari o complementari, e che ci sia spazio per lasciare visibile la documentazione dei progetti educativi. E ancora e ancora fino al cento, la Scuola Reggio parla decine di altre lingue. L’impiego di artigiani specializzati in pratiche dimenticate, come il taglio a misura dei mattoni di vetro; lo sviluppo in sezione dell’edificio, la divisione per età degli studenti, gli spazi d’uso collettivo esterni. In fondo alla fila - per quanto sia lunga rimangono però sempre gli utenti, umani e più che umani. Da un lato studenti genitori e docenti, dall’altro insetti e fauna dei tanti giardini.
La somma delle parti
“Dal punto di vista costruttivo” dice Roberto Gonzalez “la Scuola Reggio è tradizionale e non presenta elementi eccezionali”. La parte basamentale è così composta da setti di cemento armato, lasciato a vista, sagomati a formare i grandi archi; i piani centrali sono un sistema trave-pilastro in calcestruzzo e in acciaio, con tamponamenti di laterizi forati, e i piani più alti sono sempre a telaio, interamente d’acciaio.
“L’inizio del cantiere ha coinciso con la pandemia di Covid” continua lo stesso Gonzalez “e la coordinazione è stato l’ostacolo maggiore”. Ci sono tuttavia alcuni aspetti in particolare che vanno sottolineati, poiché “ è la somma delle parti a renderla eccezionale”: la nudità, il riciclo, e il sughero. L’uso del sughero in facciata è fra i tre l’elemento che richiede senza dubbio più attenzione e ricerca. La soluzione impiegata si basa infatti su un prodotto commerciale dell’azienda spagnola Vipeq, insieme alla quale lo studio di Jaque lavora per due anni con l’obiettivo di sviluppare un risultato nuovo: uno strato isolante di 14 centimetri, posato per proiezione con uno spruzzatore, e composto da mix diversi sovrapposti di resine e sughero. Le proiezioni più aderenti alla struttura sono più dense e resistenti all’acqua, quelle più esterne più porose e traspiranti. Nonostante la natura insolita di questa soluzione, i nodi costruttivi tra chiusure verticali e orizzontali, così come in prossimità degli infissi, “non hanno richiesto maestranze specializzate”. Da un lato infatti lo strato isolante è brevettato anche per uso su tetti, e prosegue in copertura. Dall’altro, gli infissi scelti non prevedono invenzioni su misura, anzi: gli oblò di facciata sono lunotti per camper, in plexiglass, recuperati da un fondo di magazzino. La loro installazione è resa semplice dal fatto che erano pensati per una catena di montaggio automobilistica, con minima mano d’opera. Insieme con alcune chiusure di vetrocemento e con i lavandini, fanno parte di un più ampio proposito di reimpiego di fondi di magazzino e prodotti di scarto, che riduce i costi, impatta meno sul benessere del pianeta, e stimola l’inventiva progettuale. Incide pure sulla riduzione dei costi la scelta di eliminare contropareti e controsoffiti per lasciare gli impianti a vista. La ragione, in questo caso, sfuma però con la pedagogia: qualche bambino si chiederà cosa sono quei tubi, e vorrà forse capirlo, leggerlo. "Anche per questo è importante parlarne", conclude Gonzalez.
Scheda progetto
Architects: Andrés Jaque / Office for Political Innovation
Location: Calle San Enrique de Ossó El Encinar de los Reyes, 28055 Madrid
Client: CIIP Reggio
Area: ca. 5,942 m2 (total), ca. 4,366 m2 (usable)
Completion: 2022
Cost: ca. € 8,7 Mil (1.497 €/sqm)
Structure: Qube Ingeniería de Estructuras
MEP engineering: JG Ingenieros
Quantity survey (project): Dirtec Arquitectos Técnicos
Ecology and edaphology: Mingobasarrate
Project management: Ángel David Moreno Casero, Carlos Peñalver Álvarez, Almudena Antón Vélez
Photos: José Hevia / Imagen Subliminal (Miguel De Guzman + Rocio Romero)